Alpino morto a 26 anni: i vaccini non c’entrano

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I suoi familiari hanno lottato per 14 lunghi anni, ma alla fine anche il Consiglio di Stato ha deluso convincimenti e aspettative. A Francesco Rinaldelli, l’alpino ucciso a 26 anni da un linfoma di Hodgkin sclero-nodulare, dopo quattro anni di malattia, contratta mentre prestava servizio militare alla Brigata Julia di Cividale, non doveva essere riconosciuto lo status di vittima del dovere. Secondo i giudici amministrativi d’appello, infatti, il decreto con cui il ministero della Difesa glielo aveva negato era corretto e «immune da vizi». Proprio come stabilito già, nel 2016, dal Tar del Friuli Venezia Giulia. E a differenza, invece, del pronunciamento di due anni prima, quando lo stesso tribunale aveva accolto il ricorso degli eredi, residenti a potenza Picena, in provincia di Macerata, «per difetto di istruttoria».

Nell’impugnare una seconda volta il provvedimento di diniego, la famiglia aveva puntato l’indice contro «l’eccessiva somministrazione di vaccini durante il servizio militare» e il mercurio e l’alluminio presenti e che indeboliscono il sistema immunitario, aumentando il rischio di linfomi in presenza di sostanze inquinanti. Nel suo caso, il fattore scatenante sarebbe stato il benzene respirato a Porto Marghera nell’ambito della sorveglianza antiterrorismo cui era stato assegnato dopo la promozione a caporale.

«Alla luce della documentazione in atti e dell’esito della verificazione – scrive il Consiglio di Stato –, il giudice di primo grado ha correttamente ritenuto che la richiesta di rinvio di un anno e mezzo della trattazione del merito, per consentire ai ricorrenti l’elaborazione di una consulenza volta a confutarne puntualmente gli esiti fosse “defatigante e sostanzialmente inutile ai fini della decisione”». —

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