Adotta il campione pakistano di squash: così Anna ha rivoluzionato la sua vita

L’udinese Cellante, direttrice di banca di 55 anni, dallo scorso luglio è la madre di Tariq, di 27 anni. Il giovane è scappato dal villaggio al confine con l’Afghanistan dopo che i talebani gli avevano sterminato la famiglia

UDINE. È l’inizio di una vita nuova, costruita su una passione vera, quella per lo squash che lo ha fatto diventare un campione in Pakistan, e su affetti sinceri, quello della famiglia di Anna Cellante, da luglio 2019 sua madre adottiva.

La storia di Tariq Khan, 27 anni, origini pakistane, comincia in un villaggio ai confini con l’Afghanistan, Mohmand Agency. È piena di dolore e sofferenza: l’intera famiglia è sterminata dai talebani nel 2014 e lui affronta un durissimo viaggio verso l’Italia. Oggi, però, c’è anche la gioia, quella della rinascita.

«A 12 anni mi sono trasferito a Lahore, dove viveva mio zio, per studiare – racconta il giovane –. Lui era un grande campione di squash così mi sono appassionato anche io». Allenamento dopo allenamento, il suo talento aumenta ed è innegabile: entra nella nazionale juniores del Pakistan. Vola in Malesia per fare l’università, ma nel 2014 arriva la tragica notizia: i talebani hanno ucciso prima la sua famiglia e poi l’amato zio. Rimane solo. «Sono rientrato in Pakistan, ma lì non potevo restare – racconta –. Così ho cominciato il mio viaggio per l’Italia».

Camminando raggiunge l’Iran e quindi la Turchia, poi via nave cargo arriva a Bari. Sale su un treno («nascosto nei bagni») in direzione Gorizia. «Era malato e senza vestiti – racconta Anna, 55 anni, di Udine –. Non sapeva dove andare e ha passato anche alcuni giorni per strada».

Tariq si presenta dalla Polizia isontina e, nel dicembre del 2015, viene trasferito al Cara di Gradisca. Comincia un periodo davvero molto difficile, accompagnato dal desiderio di tornare a praticare il suo sport preferito. Ma nella zona non ci sono campi da gioco e l’unica cosa che può fare è raggiungere Udine. Il Palagym, per l’esattezza, dove tutto, per lui, cambierà.

Il giovane, ottenuti tutti i documenti, si presenta quindi per fare due tiri. Gioca e stupisce, e nel frattempo riesce, dopo un periodo come ospite in una casa privata a Udine, a trovare un posto dove dormire, a Codroipo, in una struttura gestita da un’associazione di volontariato.

Gli allenamenti nella palestra udinese proseguono. «La mia famiglia e alcuni amici, tutti appassionati di squash, mi avvertono che al Palagym c’è un nuovo giocatore con una storia particolare – si inserisce nuovamente Anna –. Vado a fare qualche lezione e tutti insieme decidiamo di organizzare una cena». I due chiacchierano molto, si conoscono. Scoprono le rispettive storie e culture. «Io vivo in una casa grande, con il giardino – aggiunge la donna, che è direttore di banca – e dopo l’improvvisa e tragica morte di mio marito ero decisa a non fare entrare più nessuno nella mia vita: ma aiutare Tariq è stato naturale».

L’ha ospitato alcune volte. «Mi ha raccontato la sua vita difficile, io gli ho raccontato la mia. Ognuno con le sue radici e abitudini, abbiamo imparato a condividere la quotidianità: è stato semplice sentirci mamma e figlio – dice ancora Anna, che si è anche messa a studiare il Corano per comprendere qualcosa di più della religione del giovane –. Tariq evidentemente doveva entrare a far parte della mia vita: non avere avuto figli è sempre stato il mio rimpianto e lui è arrivato in modo del tutto inaspettato. Mi ha dato la forza di guardare avanti e non più al passato».

Protettivo, attento, Tariq è pure un bravo cuoco. Trascorrono i primi mesi insieme tra ospedali e studi medici («Tariq doveva curarsi, il viaggio verso l’Italia gli aveva creato non pochi problemi di salute»), poi Anna si decide e lo iscrive alla Professional Squash Association. «Lo squash è la sua grande passione ed era giusto riprendesse a gareggiare – afferma –. Piano piano tornerà agli alti livelli a cui era abituato».

Qualcosa è cambiato anche a livello legale. «Sentivamo di essere una famiglia e così a maggio di quest’anno ho fatto, tramite il mio avvocato, richiesta di adozione al Tribunale di Udine – conclude Anna –. La sentenza è arrivata prestissimo, a luglio: il giudice ha ammesso che a differenza della maggior parte delle situazioni che si trova a valutare, di famiglie che si distruggono, la nostra lo aveva colpito perché qui una famiglia nasceva. È stato emozionante per tutti noi».

Per Cellante Tariq Khan (che diventa il suo secondo nome), il lieto fine, che è poi il nuovo inizio, è servito.

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