A scuola di “mondialità” in un Centro accoglienza

UDINE. In cerca di lavoro: cosa fanno i ragazzi che scelgono di restare in Italia. Laura ci racconta l’esperienza di animatrice tra immigrati minori a Catania. Un'avventura iniziata nell'estate 2015 che continua nelle due settimane tra il 15 ed il 31 agosto 2016.
Ciao Laura, cosa ci racconti questa volta, cosa hai combinato?
La mia frase guida è fai della tua vita un capolavoro ed è proprio questo che mi ha spinta ad andare a fondo rendendo l'ordinario straordinario. Ho iniziato essenzialmente a seguire un percorso chiamato -Scuola di Mondialità- gestito dai salesiani che mi catapultò, come volontaria, in un centro di prima accoglienza per minori non accompagnati a Catania.
Quindi un centro per immigrati minorenni?
Si, si trattava della Colonia Don Bosco, situata a 10 minuti da Catania nella zona chiamata Playa. Una comunità aperta nell’ottobre 2015 con 10 ragazzi e che ne ospita, ora, più di 60. Bambini e ragazzi di tutte le età (circa dai 10 anni) che provenivano da Mali, Guinea, Costa d’Avorio, Etiopia, Eritrea, Nigeria, Egitto e Bangladesh; che si riunivano e vivevano in questa colonia.
Com’era strutturato il luogo? E com’era strutturata la giornata?
La colonia in sé era disposta come una normale colonia vacanze, una di quelle in cui si manda i figli d’estate; un recinto sulla cui entrata si affacciavano il mare e la spiaggia dentro alla quale sorgevano dei piccoli bungalow, che fungevano da camere, una grande struttura, che fungeva da dormitorio per i ragazzi, un refettorio esterno, uffici ed una bella terrazza, dalla quale si poteva ammirare alba e tramonto.
In quanto alla giornata dipendeva proprio dal giorno della settimana. Solitamente il mattino era dedicato all’insegnamento dell’italiano in tutti i giorni: ognuno di noi volontari aveva una classe che aveva un diverso livello di italiano (nella mia, ad esempio, non fu facilissimo siccome le lingue madri parlate dai ragazzi erano diverse fra loro). Dopodiché il pranzo, una grande abbuffata di gruppo che prevedeva riso, pollo e pepe. Passando al pomeriggio si può dire che le attività venivano, appunto, divise e differenziata per giorno (ogni giorno ci si inventava qualcosa di diverso come in un centro vacanze). C’era il laboratorio dei braccialetti, di cucina, di pittura sassi, di musica, ecc. Poi, alle 18, tutti partecipavano all’immancabile partita di calcio. Infine la sera. Anche qui ogni giorno facevamo qualcosa di diverso; dalla visione di un film a dei giochi di animazione che avevo proposto ad un talent show in cui ognuno portò un’esibizione. Era emozionante vedere come si divertissero in ogni cosa che gli si proponeva e quanto entusiasmo mettessero anche nelle piccole cose. Durante altre serate, invece, si discuteva di qualcosa o semplicemente ci si appoggiava ad un muretto parlando e suonando, come vecchi amici in vacanza.
La cosa particolare era che ogni giorno ci davano una parola su cui meditare. Ogni giorno questa parola mi ronzava in testa ed era come se tutto fosse stato lì per me.
Wow, noto molte emozioni ma c’è qualcosa che ti è rimasto impresso più di altre cose? Un aneddoto, una frase..
Ci sono due episodi principalmente.
Il primo è quando sono riuscita ad organizzare, con dei miei amici, una serata di giocoleria e magia. Era meraviglioso vedere lo stupore stampato sulle loro facce! Nei loro occhi c’era curiosità, incanto ma anche incomprensione; non avevano mia visto la magia. Ad un certo punto, addirittura, Isma, un ragazzo, si alza dicendo: “Io no capisce niente, io vado via!” e fu assai dura convincerlo a rimanere. In quei momenti mi batteva forte il cuore, li avevo resi felici e pure io lo ero, nel modo più assoluto in lo si possa essere.
Il secondo è un episodio che mi è accaduto e che mi ha tanto fatto tanto riflettere.
Il quarto giorno in cui alloggiavo nella Colonia mi vennero rubate le valigie; avevo tutto lì dentro, compresi i documenti, così mi disperai e questo non fu certo un punto a favore per la mia esperienza.
Ma quando comunicai l’accaduto al capo della struttura e tutti i ragazzi iniziarono a cercare “qualcosa” dalla spiaggia alle camere e quando, vedendomi piangere, alcuni di loro mi chiesero cos’era capitato e capirono la situazione e quando iniziarono a consolarmi con frasi come: “Tu no piange!”; successe qualcosa di indescrivibile, anche nella sua apparente semplicità.
Subahan, senza famiglia, senza documenti, con la pelle di un altro colore e la religione diversa dalla mia, mi disse: “Io, Laura, davvero dispiaciuto, brutta cosa, brutta persona, io dare te mia maglia, tu vuoi?”.
E cosa gli dici ad uno che di maglie ne possiede solo due? Fu un altro scrosciare di lacrime..io possedevo tutto e mi disperavo per due valigie quando lui voleva darmi la sua unica seconda maglia. Qui ho capito quanta importanza abbia il diverso valore che si dà alle cose.
Come potresti descrivere il tuo rapporto con questi ragazzi quindi?
Per me loro, ora come ora, sono Amici, Fratelli, miei pari con cui uscirei volentieri il sabato sera, persone per cui darei la vita affinché possano essere felici ma purtroppo per cui non posso fare nulla ancora, ora devono solo aspettare.
Ed è cambiato il tuo pensiero riguardo questa situazione? S’intende l’”emergenza immigrazione”.
Assolutamente si, sono partita proprio per comprendere più a fondo cosa stesse succedendo, volevo vederlo con i miei occhi e viverlo sulla mia pelle. Prima del viaggio mi sentivo un po’ razzista (anche se, se ci sono andata tanto razzista non ero), non lo nascondo; avevo paura dei ragazzi di colore e questa paura doveva sparire. Ovviamente è stata sconfitta in parte perché, come si sa, esistono malfattori di tutte le nazionalità (americani, russi, cinesi, italiani, ecc.) e persone di gran cuore, si, anche fra gli immigrati come tra americani, russi, cinesi, italiani, ecc.
È solo una nome che gli si dà ma non deve essere la descrizione stessa di quello stesso individuo.
Se vogliamo potremmo confrontare l’episodio di Subahan con uno sgradevole episodio che mi è capitato qui in Italia. Semplicemente una mamma di bambini che diceva a delle persone di colore che dovevano morire; penso che chi ha dato la vita dovrebbe essere il primo a capirne il suo valore.
Quindi all’inizio avevo paura di quei ragazzi (esitavo a battere il cinque, a passare tra di loro, a parlargli) ma dopo qualche giorno ho capito che di loro non dovevo avere alcuna paura.
Paura che Mahamadou, di 13 anni, mi possa confidare che vuole tornare dalla sua mamma? Che Ibrahim, che ha più di 18 anni, mi dica che suo padre è morto, sua mamma non possa mantenere i suoi studi e che è venuto in Europa per un futuro migliore? Che Alpha, di 17 anni, in una sera mi abbia spiegato cosa vuol dire per lui una bella ragazza o una brutta ragazza e che lui gli fa un baffo a Socrate? Che Gary, assunto come mediatore culturale, vorrebbe da grande fare il maestro perché gli piacciono i bambini e studia tutti i giorni italiano ma non può perché anche a Catania lo massacrano di botte? Loro sono i miei fratelli ora, quelli che non ho mai avuto. Sedersi su una panchina e raccontarsi le cose e parlare del più e del meno è una cosa che abbiamo fatto tutti durante la nostra infanzia e loro cosa hanno fatto di male per meritarsi tutto l’odio che li circonda e che li schiaccia?
Ad alcuni di loro (tra i più grandi) viene offerta l’occasione di lavorare per bonificare la zona della Playa, ad esempio, e loro fanno a gara per essere assunti..questi sarebbero i fannulloni parassiti di cui si parla?
E com’è stato tornare a casa?
È stato davvero devastante; mi sono scontrata fin da subito con la realtà razzista che circondava il gruppo dei miei pari italiani. Se prima mi sentivo a disagio perché sempre incompresa ora lo sono totalmente. È stato un grossissimo impatto.
Ora so solo che ho 60 fratelli ma non posso fare nulla per loro.
Bene, dì qualcosa che tu hai lasciato a loro e che loro hanno lasciato a te.
Mi viene in mente il ballo, io amo il ballo. E c’erano quelle sere in cui insegnavo loro i balli di gruppo, quelli dei centri estivi, e mi sembrava di vedere me, puntare sulla simpatia in quanto a coordinazione andavamo mancando, ma mettendoci tanta di quella passione. Essenzialmente li rendevo felici anche solo schiacciando il tasto play dello stereo, il volume si alzava e disegnava sorrisi enormi sui loro visi, sono bellissimi mentre ballano le loro canzoni.
Beh, da loro ho ricevuto un sacco di ispirazione, parole, idee, storie non dette e, sì, sorrisi, canti e balli, esperienze, aneddoti, semplicità, voglia di essere, voglia di fare, speranza, rispetto.
E ci sarebbero mille altre parole, che devono ancora inventarle, ma, innanzitutto, mi hanno regalato emozioni.
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