A 30 anni dal primo trapianto la sfida è il cuore wi-fi

UDINE. Trent’anni fa il primo trapianto di cuore al Santa Maria della Misericordia ha aperto nuovi orizzonti, disegnando un futuro della medicina che oggi è a portata di mano.
I progetti cui l’ospedale di Udine sta lavorando potrebbero consentire di eliminare la fase di rigetto, di modificare un cuore espiantato per renderlo più compatibile e perfino utilizzare cuori artificiali o dispositivi meccanici di assistenza al muscolo cardiaco ricaricabili con la wi-fi.
La tradizione pionieristica si rinnova al Dipartimento Cardiotoracico dal Santa Maria della Misericordia guidato dal professor Ugolino Livi che nel 1985 a Padova faceva parte dell’équipe che effettuò il primo trapianto di cuore in Italia, battendo Udine di una settimana.
«Sono trascorsi 30 anni da quella notte che ebbe un significato particolare – osserva Livi –, mise alla prova il sistema sanitario regionale e fece decollare il programma dei trapianti. Da allora abbiamo trapiantato 562 cuori con una media di 25 all’anno».
«Seguiamo pazienti che sono stati trapiantati 15-20 e perfino 30 anni fa – assicura Livi –. Il più giovane aveva 14 anni al momento dell’intervento, il più vecchio ne aveva 72».

Ma i limiti di età sono piuttosto elastici, visto che è molto più importante l’età biologica che quella anagrafica e il fatto che gli organi a disposizione siano limitati impone ai medici uno screening rigoroso dei pazienti per garantire il miglior risultato possibile. Attualmente i pazienti seguiti dall’ambulatorio udinese sono 370.
«Per quanto riguarda la tecnica chirurgica non è cambiato molto rispetto a 30 anni fa – osserva il professor Livi – la gestione dei pazienti e la possibilità di attingere a nuovi farmaci, invece, hanno permesso di raggiungere risultati un tempo inimmaginabili».
L’esempio? Il dipartimento di Udine è stato il primo in Italia a conservare e a trasportare il cuore in forma battente in alternativa alla conservazione ipotermica. Una tecnica che, dal 2007, viene utilizzata in casi particolari e che ha garantito all’ospedale un progetto di ricerca da 400 mila euro.
«Il Ministero ci ha ritenuti degni di essere finanziati per promuovere una ricerca che non si limiterà a valutare la preservazione dell’organo – anticipa il professore – ma si espanderà anche ad altri scenari. Potrebbe essere eliminata la capacità dell’organo di stimolare una reazione di rigetto e questo potrebbe diminuire o annullare la necessità di una terapia antirigetto attraverso gli immunosoppressori, trattamenti necessari per un trapiantato, ma che hanno un discreto livello di tossicità. È possibile che questa tecnica ci permetta in futuro di rigenerare un organo che viene ritenuto non idoneo al trapianto per manipolarlo e renderlo più compatibile».
Il progetto è stato concepito per un triennio di sperimentazione. «Ci vuole tantissima prudenza – mette le mani avanti Livi – ma i dati preliminari che abbiamo in mano sono promettenti ed è verosimile che nell’arco di pochi anni riusciremo a raggiungere gli obiettivi che si siamo posti».
Questo significa prolungare le prospettive di vita per i pazienti che necessitano di un trapianto. Dati che già vedono Udine ai vertici nazionali: a un anno la percentuale di sopravvivenza è del 90%, tira le somme Livi, a cinque anni scende all’80%, a 10 passa al 70% e dopo un ventennio la popolazione di trapiantati si dimezza.
I numeri a Udine continuano a essere considerevoli: 21 i trapianti di cuore effettuati nel 2015, negli ultimi anni la media è stata di 25 interventi l’anno, per questo le liste d’attesa di norma non superano questo numero.
«Per le richieste in eccedenza – aggiunge Livi – ricorriamo all’assistenza meccanica al cuore, temporanea o definitiva, una tecnica in continua espansione che lo scorso anno abbiamo applicato su otto pazienti e che contiamo di potenziare. In rari casi si opta per il cuore artificiale. Questo è un settore in continua evoluzione – spiega Livi – si tratta di dispositivi alimentati dall’esterno, con batterie, ma nell’arco di pochi anni riusciremo ad avere un’alimentazione ricaricabile dall’esterno grazie alla wi-fi. Al momento abbiamo 15 pazienti portatori di questo dispositivo alimentato da batterie esterne che dà loro autonomia per tutta la giornata. Li monitoriamo con un tablet che consente un collegamento costante al Centro trapianti ovunque si trovino».
Basta questo per capire che il futuro è già arrivato.
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