6 maggio 1976-2012. La notte in cui nacque il “social”: Pordenone segnò un’era

PORDENONE. Il primo social network? Di fatto è nato a Pordenone il 6 maggio 1976, nella notte del terremoto, una delle più nere della storia di questo territorio. Possiamo definirlo così, anche se era una semplice radio “libera”. Si chiamava Lt1, aveva sede nello scantinato di un condominio ma fu, nei primi giorni dell’emergenza, il vero motore del coordinamento degli aiuti alle popolazioni sinistrate.
A distanza di 39 anni, il tragico evento in quest’area meno raccontata dai trecento inviati che operarono in Friuli per conto delle testate giornalistiche più vicine e più lontane, va visto attraverso l’attivismo di un gruppo di ragazzi che faceva capo a Maurizio Lucchetta, giovane laureato in economia e commercio, docente precario in una scuola professionale, pioniere della comunicazione televisiva via cavo e della radio popolare, elementi di rottura degli schemi radiotelevisivi della paludata Rai di allora.
Lucchetta, morto prematuramente quando era all’apice della sua attività di leader dell'imprenditoria artigiana del Friuli Venezia Giulia, avrebbe voluto raccogliere in un libro e in un dvd quella sua singolare esperienza giovanile. «Vogliamo farlo noi che gli siamo stati vicini», afferma la vedova, Claudia Viol.
Con lei, un gruppo di amici, a partire da Luigi De Roia, un imprenditore di Cordenons, e dalla sua ex segretaria Lucilla Vignando che lo hanno seguito passo passo dalla radio alla Confartigianato pordenonese. Ovviamente in un contesto storico nel quale l’esperienza di Lt1 e della sua “diretta infinita” nell’emergenza post terremoto avrà una parte notevole.
Le prime ore drammatiche della notte del 6 maggio 1976 trascorsero a cercare di sapere che cosa fosse effettivamente accaduto e dove. Era collassato tutto il sistema delle comunicazioni disponibili: rete telefonica, impianti elettrici e strade. Le due prime forti scosse e lo sciame sismico conseguente avevano creato il caos.
La Protezione civile non esisteva. Gli unici punti di riferimento, le forze dell’ordine, erano in balìa di se stesse, mentre in città la folla si accalcava fuori dei condomìni, mentre nell’area montana e pedemontana gli abitanti dei paesi piangevano i morti sotto le macerie delle abitazioni distrutte.
C’era bisogno estremo di aiuto e di risposte confortanti contro la forza brutale e ignota della natura, nel caldo asfissiante e nella polvere soffocante dei primi istanti, delle prime ore.
Nessuno sapeva darne.
«Mi ritrovai in strada con mia moglie e il mio primogenito di appena 8 mesi, assieme a migliaia di altre persone – ricorda Gigi Di Meo, popolare “anchorman” di Telepordenone – tutti spaventati e in preda al panico per il peggio percepito istintivamente per i prossimi minuti. All’improvviso decisi che avrei dovuto agire da cronista alle prime armi della radio di Lucchetta: cercare di sapere e di far sapere. Appena messi al sicuro mia moglie e il nostro primo figlio di appena otto mesi, mi lanciai con la bicicletta in una sfida al tempo e alla sicurezza fisica mia e dei miei cari. Avevo 23 anni, tanta incoscienza e molta . fiducia nella mia capacità indagatrice. Avviai una spola frenetica tra l’ospedale, la questura e i carabinieri».
Come Di Meo stavano muovendosi Lucchetta e la decina di suoi collaboratori, tutti volontari e pionieri di quella nuova radio d’arrembaggio. Ciascuno brancolava nel buio. Venivano lanciati i primi concitati appelli. Fosse stato oggi (facendo i debiti scongiuri), in breve se ne sarebbe venuto a capo, grazie alle tecnologie diffuse. A quel tempo la punta, peraltro elitaria, dei mezzi d’informazione era quella dei radioamatori e dei cb, i citizen band.

Per fortuna anche le stazioni dei carabinieri, quelle ancora in funzione, costituivano un “punto info” considerevole, in quanto inserite nel circuito nazionale telefonico voluto dal comandante generale dell’Arma, il golpista generale Di Lorenzo. Ma era insufficiente.
Fu un radioamatore, il vigile urbano Grimalda, di Pordenone, a squarciare le tenebre dell’ignoto, rivelando a Lt1 che il terremoto aveva seminato distruzione a Majano e nel territorio vicino. Era la chiave per penetrare il mistero. E quella notte pesante, si caricava all’improvviso dello spettro della morte e dei lamenti inascoltati di gente che aveva bisogno di tutto.
I primi convogli dell’Esercito, l’unica istituzione in grado di intervenire con uomini e mezzi, partirono verso mezzanotte, seguendo imprecise indicazioni. Di che cosa esattamente avevano bisogno i terremotati? Dove si trovavano? Che cosa effettivamente era successo?
Da quella sera, per quattro giorni ininterrotti, il riferimento più completo e in tempo reale divenne la piccola radio dello scantinato nella torre del condominio Principe, espressione della moderna provincia di Pordenone nata sulla forte spinta economica della Zanussi, della Savio, della Scala e dei mobilifici della fascia tra Prata e Brugnera. La radio del giovane professore lungimirante e controcorrente, assecondato da un gruppetto di ragazzi capaci ed entusiasti, raccoglieva direttamente le voci dei terremotati, ne riceveva i messaggi, le richieste, le proteste e metteva tutto a disposizione in diretta, 24 ore su 24.
«Passati i primi momenti di smarrimento – precisa Gigi Di Meo – i soccorsi furono consistenti, forse eccessivi, in fatto di viveri, coperte, medicinali. Tuttavia si rivelarono carenti negli oggetti più pratici, quelli intimi delle persone e quelli relativi ai bisogni del lavoro nelle campagne. Durante una delle nostre puntate sul territorio, una donna mi avvicinò esitante. In paese c’era urgente bisogno di assorbenti per il ciclo mestruale».
Insomma, l’acqua, il cibo, le medicine erano garantiti. Non altrettanto il resto. Per esempio, le catene per assicurare gli ovini e i bovini alle mangiatoie delle stalle improvvisate, il dentifricio e gli spazzolini da denti. In redazione e nell’area terremotata crescevano le voci e gli appelli dei terremotati per chiedere ogni cosa di cui si manifestasse il bisogno. Volevano sapere dalla radio anche l’impossibile: quando si sarebbero verificate le prossime scosse e di quale entità sarebbero state.
Non bastava il grafico giornaliero del “Messaggero Veneto”. Quello era della notte appena passata!
Anche il pubblico dei soccorritori si rivolgeva alla radio dello scantinato del Principe, per portare il proprio contributo in beni di conforto. Con tutta la buona volontà i ragazzi di Maurizio Lucchetta non avrebbero potuto fare di più e dirottarono gli aiuti nel punto di raccolta della Croce rossa, l’ex Fiera di Pordenone. Altri li portarono essi stessi nell'area più colpita, tra Claut, Meduno, Clauzetto, Vito d’Asio, su indicazioni precise di Lt1. Un servizio prezioso no stop prezioso e indimenticabile, su richiesta diretta. Che cosa volere di più?
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