Necrologi eccentrici: Che, Cecco Beppe, Mao

ANDREA VALCIC. Al necrologio di Che Guevara eravamo abituati. L'iniziativa di celebrare l'anniversario della morte del rivoluzionario cubano, si deve a Giorgio Cojaniz che ormai da molti anni, puntualmente ogni 9 ottobre, ne ricorda la tragica fine con un annuncio sul Messaggero Veneto. Fece notizia invece la sua prima pubblicazione, certo vista come atto eccentrico, se non provocatorio: un gesto ideologico di un artista noto per il suo impegno politico, per la passione civile che permea anche la sua musica.
Oggi si scorre la pagina a cercare conferma della continuità, quasi che il ritrovare la faccia sorridente del Che suoni a conferma delle proprie idee condivise, ma anche no, quando prevale la semplice curiosità.
La stessa suscitata, lo scorso 30 novembre, quando i lettori si sono trovati un altro volto, ma sempre sulla stessa pagina, quella dei morti, per intenderci,
Un viso sconosciuto ai più giovani, ma che muove ancora emozioni tra gli eredi di altre generazioni.
Si tratta di un ritratto dell'imperatore austriaco Francesco Giuseppe I, in abito da cacciatore, con tanto di cappello piumato e sguardo rivolto ai sudditi.
L'inserzione, datata Cervignano, è composta, oltre che dalla foto, dalla scritta in quattro lingue: friulano, italiano, tedesco e sloveno. Il contenuto è chiaro: «Nel centenario della morte, i suoi popoli non scordano il loro imperatore».
Sul Piccolo un'associazione invece preferisce circoscriverne il ruolo a semplice “Signore di Trieste”. Come si capisce, anche nelle necrologie, la differenza tra il capoluogo giuliano e il resto del Friuli, riguarda la concezione del mondo.
La stessa che distingue il ricordo del Che da quello del Kaiser.
Guevara è già un mito contemporaneo. Ricordate quante polemiche ci furono per la sua effige stampata sulle magliette indossate dai ragazzi di mezzo mondo. Ci si chiedeva se realmente rappresentasse un segnale d'impegno giovanile o fosse solo un fatto di moda. Dibattito inutile in un mondo che da sempre usa ogni simbolo come merce: che stia esposta su una bancarella di un mercatino dell'usato o in vendita in un negozio di lusso poco cambia, se non il prezzo.
L'invasione commerciale cinese non è forse iniziata con l'invio di milioni di libretti rossi, i container pieni di distintivi raffiguranti il faccione di Mao. Una personalizzazione che toccò anche Udine quando un anonimo “graffitaro” decise di ricordarne la data di nascita con la scritta «Auguri a Mao» apparsa il 26 dicembre sulla facciata della chiesa di San Francesco e le cui tracce sono ancora visibili.
Da sempre i simboli, le icone pesano, spesso smuovono sentimenti laddove logica e raziocinio non arrivano. La rappresentazione più vera del compromesso storico non sta forse nella foto di Papa Giovanni accanto a quella di Stalin nelle cucine dei contadini emiliani?
Se dunque il Che rappresenta ancora l’idea del ribelle romantico che si batte contro le ingiustizie sociali, e il ricordarne, almeno una volta l'anno, la figura, serve a sottolineare l’eredità ideale, con Cecco Beppe come la mettiamo senza essere accusati di essere austriacanti?
Già dal nome con cui veniva chiamato in Italia, dispregiativo per alcuni, affettuoso per altri, capiamo come anche un necrologio può suggerire antiche divisioni, e in ciò sta la similitudine con Guevara, giudizi contrapposti secondo il lato della barricata in cui ci si trova.
Se poi questa diventa trincea, se tornano i confini, come quelli che attraversavano il Friuli alla morte dell'imperatore nel 1916, capirete come l'annuncio funebre che giunge da Cervignano stimoli, dopo cent'anni, una diversa interpretazione della storia, lontana da nostalgici alzabandiera e parate militari.
Due necrologi che comunque e di fatto sono manifesti politici, ma anche messaggi più intimi. Sembrano dire: «Lui appartiene a questa famiglia che oggi lo ricorda».
Riposino in pace, verrebbe da aggiungere.
Con tutti i loro compagni di pagina.
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