Giulio Cargnelutti e il taccuino da Buchenwald

La figlia Raffaella annuncia una mostra itinerante e un romanzo sulla vicenda del padre

TOLMEZZO. «Mia Cara Genia, ti scrivo in partenza per la Germania. Il morale è abbastanza alto bisogna mettersi nelle mani di Dio. Tu Genia per il nostro amore cerca di essere forte cosí un giorno potremo abbracciarci. Saluti a tutti anche ai miei, tutti insomma. Preghiamo il Signore che ci protegga…». Sono le parole della lettera che il carnico Giulio Cargnelutti, all’epoca trentaduenne scrisse giovane sposa pochi minuti dopo essere salito, prigioniero dei tedeschi, sul convoglio che lo porterà nel campo di concentramento di Buchenwald. La lettera, lanciata da Giulio dal finestrino del vagone all’altezza della Carnia, riportava, sulla busta che la conteneva, la scritta “Alla gentilezza di chi la raccoglie”, un accorato appello alle donne del posto che, per alleviare i dolori delle famiglie e dare loro speranza, consegnavano le missive a legittimi destinatari. Dopo settant’anni, la corrispondenza intercorsa tra Giulio Cargnelutti e la sua “Genia”, divisi dai tristi eventi della seconda guerra mondiale, insieme con un taccuino di disegni realizzato con mezzi di fortuna dallo stesso Giulio a Buchenwald durante il periodo di prigionia, ha ispirato il progetto in corso di sviluppo ideato dalla figlia, Raffaella Cargnelutti, critica d’arte e scrittrice, voluto e condiviso con il figlio musicista Mattia Del Moro, nipote di Giulio, in arte Brown and the leawes e sostenuto dall’Aned, associazione nazionale ex deportati, dalla Fondazione Crup e dalla Presidenza del Consiglio Regionale del Fvg, oltre che da sponsor privati.

Giulio Cargnelutti, mancato nel 2007 all’età di 95 anni, rientrò da Buchenwald e dedicò il resto della sua vita all’arte, alla scultura in particolare, con cui era venuto in contatto prima del triste capitolo della prigionia, nei suoi studi compiuti all’Istituto d’Arte di Venezia.

Disegnò anche a Buchenwald, dove fu deportato. Di quel periodo ci resta dunque un commovente diario per immagini, eseguito su carta recuperata nel campo di prigionia, disegnato con lapis, carboncini, sanguigne. È una testimonianza nel suo genere unica, in quanto eseguita in loco e documenta, con spontaneità e immediatezza, le sofferenze di un’umanità profondamente prostata. I disegni appartengono ora a una mostra itinerante cui si afficherà presto un romanzo, scritto dalla figlia Raffaella. Quanto al taccuino, sarà consegnato al museo di Buchenwalt in autunno, «perché – come riferisce Raffaella Cargnelutti – è giusto che ritorni dove è stato realizzato e tutti possano condividerne le forti emozioni che sa trasmettere». (mo.b.)

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