La spavalderia dei “Braccialetti rossi”

di Gian Paolo Polesini
Ci prendiamo caro il simbolo del braccialetto rosso e ricambiamo con un senso di pietas, il dolore di un ragazzino vale il quintuplo. Loro non sanno ancora quanto la vita si possa accanire, se gira male.
Saremmo più aggressivi sulla sanità italiana, ecco, sperando davvero esistano ospedali all inclusive (cure, sensibilità, vista panoramica, arredi puliti, sorrisi, comprensione) simil fiction Raiuno, clonazione dal ceppo catalano di un serial che dovrebbe distribuire generi di conforto psicologico un po’ a tutti i disillusi. Nove mesi per una tac, domani se paghi. Perdonate l’usurato slogan tricolore, sareste ben lieti di bruciarlo nel caminetto, ma finché non ne sarà coniato uno nuovo dobbiamo tenerci tristemente il vecchio.
“Braccialetti rossi” – sei puntate la domenica sera - esalta diverse tipologie adolescenziali sofferenti che abitano un padiglione piuttosto eclettico, ben distante dalla media nazional-popolare, strutture perlopiù fatiscenti con gli stessi letti di ferro della seconda guerra, o giù di lì.
Ce ne sono, ce ne sono. La malattia ruota attorno a noi, nel senso che ce la fanno sentire sempre troppo vicina. Il tizio sano sensibile rischia d’ammalarsi solamente per aver ascoltato. Figuriamoci quando anche vede. Non è E.R. nè tantomeno Grey’s Anatomy, “Braccialetti rossi” soprattutto è prodotto di casa con tanto di App scaricabile gratis, rappresenta il volto di sei giovanotti in stand by con la spensieratezza. Leo, il leader, è senza una gamba, Valentino sta per perderla, Rocco è la mascotte.
Dorme da otto mesi per uno sciagurato tuffo, Cristina è anoressica, Toni si è fracassato con la moto e Davide ha una malformazione cardiaca. C’è gran spavalderia fra loro, forse sostenuta dalla sceneggiatura un po’ irreale che dovrebbe spingere i malati veri a uscire dalla malinconia. Una sorta di inno al coraggio piratesco dei condannati, come dire esci dalla contrazione, osa, spacca il mondo. Aiutati che il ciel t’aiuta. Nobile gesto, per carità, non altrettanto è percepito il portamento televisivo.
Sa di muro in cartongesso, ecco, non ha la naturalezza di un portante. E la gioventù non è vera. Li hanno caricati tutti a sale grosso come una spingarda, ‘sti mocciosi.
Ce ne saranno anche di così sfacciati di fronte al destino infame, ma quanti?
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