«Gemona? Palla al piede I medici di San Daniele e Tolmezzo ci ostacolano»

Il dottor De Antoni accusa colleghi e direttori di dipartimento Inutile l’invito a differenziarsi, vogliono la morte del San Michele

GEMONA. Ospedale sempre più povero? Colpa delle “baronie”. Che a sentire il dottor Pietro De Antoni, urologo in forze al nosocomio di Gemona ormai da 20 anni, ci sono anche nella sanità. Se il San Michele continua a “perdere” per il medico è anche colpa «dei colleghi, dei direttori di dipartimento» che lavorano negli ospedali di San Daniele e Tolmezzo.

«Sono convinti che il San Michele sia solo una palla al piede e nonostante l’invito, reiterato da più direzioni aziendali, a differenziarsi, specializzarsi, a non arroccarsi nella difesa dei rispettivi orticelli, nulla si è fatto. Ogni richiesta è stata disattesa». Ai comitati che da anni denunciano la progressiva spoliazione del San Michele e che in questi ultimi mesi sono tornati in trincea, si aggiunge dunque oggi la voce del dottor De Antoni. Una voce autonoma. Che non critica la politica, né l’attività della direzione generale dell’azienda sanitaria 3, bensì la condotta di colleghi che secondo il medico di origine carnica non hanno alcun interesse a mantenere in vita l’ospedale di Gemona. La logica? Mors tua, vita mea. «Vuole un esempio? Sono stati portati via da Gemona, spostati a Tolmezzo, prima lo screening di prevenzione femminile, quindi, dal primo di marzo, anche quello di prevenzione maschile. Senza spiegazioni». La prima volta i comitati sono scesi in piazza sventolando reggiseni, stavolta potrebbe toccare... alle mutande. Il medico si concede un mezzo sorriso. Pieno di amarezza. «Ormai siamo ridotti malissimo ed è un peccato – afferma – . Questo ospedale ha un tasso altissimo di occupazione dei posti letto in medicina, siamo superiori al 90%, vantiamo un gruppo di medici giovani, preparati, impegnati, ma qui si vuole disfare tutto», afferma ancora De Antoni ricordando che con il pensionamento della dottoressa Iacono, già primario della Soc di Medicina, a Gemona non c’è più un primariato. La chirurgia è ormai svolta in week surgery, vale a dire che alle 18 di venerdì il reparto spegne le luci e gli interventi più impegnativi che richiedono maggiori giorni di degenza finiscono a Tolmezzo. De Antoni non si arrocca in difesa dell’ospedale per acuti, ma invoca una rivalutazione del San Michele. “Abbiamo speso centinaia di migliaia di euro per l’accreditamento che altre strutture (vedi San Daniele, tanto per restare all’interno della stessa azienda) non hanno. A Udine l’ospedale è pieno, potremmo fare del nostro un centro provinciale se non regionale per la chirurgia in day hospital e in week e day surgery. Invece oggi è ridotta ai minimi termini».

L’urologo snocciola i numeri dei “suoi” interventi. «Ne facciamo 800 l’anno, di cui 400 a Gemona, il resto a Tolmezzo. Fare week surgery è valutato in generale come una diminutio, ma per noi sarebbe un’occasione, peccato che nessuno sia disposto a cedere interventi per non perdere il proprio orticello». In mezzo chi ci perde è alla fine Gemona, «ma se l’ospedale dovesse arrivare a chiudere, Tolmezzo – per De Antoni – seguirà a ruota. E lo pensano in molti, tanto che pochi anni fa c’era stato un accordo per dar vita a sinergie tra i due ospedali». Propositi, stando al medico, rimasti lettera morta. La riforma sanitaria che avanza, la necessità di riorganizzare gli ospedali, il nuovo assetto dell’azienda sanitaria 3 che ha inglobato anche l’ospedale di San Daniele possono ora essere l’occasione per un ripensamento. Che De Antoni, pur a un passo dalla pensione, si augura per la sanità dell’Alto Friuli che bene conosce avendo lavorato 40 anni tra Tolmezzo e Gemona. «Facciamo del San Michele un’ospedale di servizi. Centrale rispetto al territorio dell’azienda. Dotiamolo della risonanza magnetica che non serve a ospedali per acuti. Portiamo qui la week surgery, il day hospital, alleggerendo gli altri nosocomi della provincia», rilancia l’urologo guardando a un futuro alternativo per il San Michele, minacciato oggi da più di una spada di Damocle, visti i rischi chiusura che incombono sull’emergenza, la medicina e ancora sul pronto soccorso.

Maura Delle Case

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